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Caduti

del mare

 

 

 

Da: IN MEMORIA DELLE VITTIME DEL MARE

FANO, XVII-XX OTTOBRE 1910 - IX FEBBRAIO 1911.

Società Tipografica Cooperativa, Fano, 1911. Biblioteca Federiciana

 

 

 

L'equipaggio della paranza Iride

(Arch. A. Pagnoni)

 

Naufragio dell'8-9 febbraio 1911

Ma la sventura maggiore che tante famiglie doveva al tempo stesso gettare nel lutto più profondo e nella più grande disperazione, avvenne la notte dall' 8 al 9 febbraio dell'anno corrente. Due nostre paranze da pesca, Iride e Sante, furono colte poco oltre Senigallia da una terribile bufera che violentemente le separò; e mentre la seconda riusciva ad approdare, miracolosamente salva, ad Ancona, spintavi dalla violenza delle onde, l'Iride invece naufragava.

Nessuno può in modo preciso stabilire come la disgrazia avvenisse per essere l'intero equipaggio rimasto preda delle onde; ma l'opinione che prevale fra i marinai è che il veliero abbia avuto di traverso un tal colpo di mare da sconficcare i cassapanchi della zavorra, facendo passar questa dalla parte opposta verso prua, e da ridurlo così all'impossibilità d'essere manovrato. Altri terribili colpi di mare si seguivano intanto e, montando sul ponte furiosi, facevano entrare dai boccaporti molta acqua nella barca; la quale finalmente se ne riempiva, e tra il sibilo del vento e il boato del mare affondava, con sé recando nell'orrendo baratro i nove infelici dell'equipaggio. Ma chi mai potrà immaginare la tragica loro disperazione quando, visto ogni tentativo di salvezza ormai vano, si abbandonarono, affratellati nella sorte comune, alle onde gorgoglianti e implacabili che li inghiottivano?

Avvisata intanto la Capitaneria di Ancona dall'equipaggio del Sante, non si poterono immediatamente avere i mezzi necessari per correre al salvataggio. Si telegrafò a Rimini, da cui Fano dipende, ed anche a Rimini erano sprovvisti di qualunque mezzo adatto a portar soccorso ai naufraghi.

Così perirono il Capitano e gli otto suoi marinai. Il Capitano era Attilio Valentini di 41 anni, padre di ben cinque figli, il quale col frutto del suo faticoso lavoro era riuscito a mettere insieme tanto da poter avere una parte di proprietà sul veliero naufragato e a farsi una discreta posizione. Era un bravo capitano e tanto pratico del mare, da aver saputo più volte col sangue freddo e la valentia, che gli erano propri, vincerne le furie; ed era non meno bravo ed attivo pescatore. La sua perdita, che è così luttuosa per la famiglia, è stata pur dolorosamente sentita da tutta la marineria.

Il Valentini aveva con sé un suo nipote Alfredo Luzietti di 26 anni, cui arrideva la gioia della nuova famiglia che si era formata da appena dieci mesi; gioia conturbata solo dalla perdita da lui tanto lagrimata del suo primo nato. La sposa, giovine e bella campagnuola, cui erano ignoti i pericoli del mare, non sapeva né voleva prestar fede alle prime ferali notizie, presa come da un doloroso stupore; non poteva credere che il suo Alfredo fosse perito e più non dovesse ritornare al suo affetto. Piangeva all'altrui pianto, ma nell'ansia della vana attesa di continuo ripeteva: "Stava tanto tempo in mare e poi sempre ritornava; tornerà, tornerà, poverino!" Ma più egli non ritornò; e quando dopo vari giorni pietosamente le fu messo uno scialle nero, comprendendo allora soltanto tutta la verità e l'immensità della sua disgrazia, cadde a terra svenuta.

Ed ecco la lunga lista degli altri infelici: Augusto Frausini di 35 anni, padre di tre figli, era da poco tornato dalla lontana America, dove era stato più anni; qui la sua mala ventura gli fece incontrare sul mare la morte. Bravissimo marinaio, prima di lasciar l'Italia aveva comandato le barche da pesca di secondo rango.

Adriano Battistoni di 29 anni, padre di cinque figli, il cui petto era fregiato di ben due medaglie al valor civile per aver salvato due naufraghi; e pur troppo egli stesso doveva ben presto esser vittima di quel mare, che era divenuto per lui come una seconda esistenza. Gaetano Talevi di 33 anni, padre di cinque figli, bravo marinaio pescatore che lascia la famiglia nella più squallida miseria. I fratelli Romolo e Galliano Bontempi, il primo di 19 anni, il secondo di 14, ambedue laboriosi e bravi figliuoli. Salvatore Alessandrini di 18 anni, anch'egli buono e tutto dedito al suo mestiere. Chiude la macabra nota il nome del piccolo mozzo Gino Mancurti di 14 anni.

E la sorte, la cieca sorte soltanto, impedì che qui si dovesse registrare anche una decima vittima; giacchè il giovinetto Flavio Pezzoli di 16 anni, che apparteneva a questo equipaggio e con questo doveva naturalmente imbarcarsi, fu costretto a passare all'altra paranza Sante, ove per malattia mancava il sotto-parone, solo dopo aver fatto, come suol dirsi, al tocco, non volendo egli in alcun modo lasciare la barca del parone.

Ecco brevemente nella sua tragica verità la narrazione dei fatti che ci commuovono fino al pianto, se si ricorra col pensiero alla strage di tante giovani e rigogliose esistenze e allo strazio dei superstiti, colpiti non solamente nei più sacri affetti, ma gettati ancora d'un tratto nelle più misere condizioni.

I tentativi fatti per ricuperare l'Iride e i cadaveri delle vittime riuscirono, dopo lungo e faticoso lavoro, a buon fine. Il 22 Febbraio, a dieci miglia dalla costa di Senigallia, il rimorchiatore Ubaldo Gatti della Cooperativa dei facchini d'Ancona, coadiuvato dai due palombari Umberto Bevilacqua fanese ed Ernesto Tagliavento e dietro indicazioni delle nostre barche Gaetano e Santiago, trovò la paranza naufragata con le vele diritte, il timone armato e la prua diretta verso Ancona.

La mattina del 23 l'Iride, rimorchiata dal Gatti, fu trascinata a sei miglia dalla costa; il palombaro Bevilacqua, calatosi in mare ben sette volte, riuscì ad affacciarsi al boccaporto maggiore e potè scorgere nella stiva vari cadaveri. Il mare cattivo interruppe il viaggio; ma furono intanto estratti i due cadaveri di Salvatore Alessandrini e Galliano Bontempi. Trasportati a Senigallia, furono poi deposti in un carro di prima classe coperto di fiori e accompagnati con una solennità piena di profonda mestizia da una gran folla di popolo, preceduta dalle autorità locali, sino a Villa Aosta per oltre un chilometro dalla città, dove attendeva il carro funebre, inviato dal Municipio di Fano. Verso le 18 del 26 il triste convoglio giunse a Fano, dove le due vittime ebbero tributo di solenne onoranze; si formò infatti un immenso corteo costituito dalle rappresentanze dei Municipi di Fano, Senigallia ed Ancona e da più di trenta associazioni cittadine e dei vicini luoghi coi loro gonfaloni, il quale sfilò imponente, mentre la cittadina intera assisteva profondamente commossa. Al Cimitero parlarono il Sindaco di Fano e quello di Ancona.

Nel pomeriggio dell'8 marzo, grazie ai potenti mezzi del pontone della R. Marina, che era giunto da Venezia il giorno innanzi, e della cacciatorpediniera Dardo, l'Iride potè essere sollevata sino alla coperta a fior d'acqua; e verso le ore 21 il R. Rimorchiatore Lido salpava per Ancona trascinando il pontone, al quale era attaccata l'Iride piegata su di un fianco, mentre la Dardo, avanzandosi a destra, illuminava col riflettore elettrico per largo raggio il mare. Le imbarcazioni entrarono nel porto di Ancona soltanto all'una dopo la mezzanotte; e l'Iride fu lasciata col pontone in rada a circa 500 metri dal molo di S. Maria. Il 9 di buon mattino si cominciarono le operazioni di estrazione dell'acqua mediante una potente pompa del rimorchiatore Gatti; durante le quali sopraggiunsero la suocera e la sorella del povero Adriano Battistoni, accompagnate da Raffaele Mancurti, padre del piccolo Gino, e tutti e tre furono fatti salire sul pontone.

Intanto l'Iride, alleggerita dell'acqua che conteneva, si sollevava gradatamente sino a riprendere la posizione normale e si riscontrava essere in buone condizioni; allora, aperti i due boccaporti, il maggiore e il minore, si procedette alla ricerca dei cadaveri. Orrendo spettacolo! Tra un aggroviglio di corde, vele, casse, remi e fango giacevano tre cadaveri con le mani e i volti lividi, le teste penzolanti e corrose fra le gomene, i piedi nudi e stecchiti. Dal rimorchiatore Gatti fu subito issata la bandiera a mezz'asta, e si attesero le autorità per iniziare l'estrazione e il riconoscimento dei cadaveri. Alle 11,30, alla presenza di tutte le autorità marittime e giudiziarie convenute, si cominciò la pietosa esumazione.

Il primo ad essere estratto fu un cadavere completamente vestito del costume di tela cerata cenerognola usato dai pescatori; aveva il cappuccio appiccicato alla nuca ed al viso, le mani livide e rattrappite; era quasi ripiegato su sé stesso. Fu disteso sul tavolato e due guardie sanitarie, irrorandolo di getti d'acido fenico, gli tolsero il cappuccio; apparve un viso orrendamente sfigurato, con gli occhi fuori dall'orbita, le labbra tumide, nerastre. - E' mio zio, Gaetano Talevi - esclamò allora un giovine pescatore che era sul Gatti. - Lo riconosco, è lui, povero zio! - Era il nipote Marino Cafiero, in quel frattempo sopraggiunto.

Il secondo cadavere, che fu estratto, era vestito di maglia nera; e, per essere tutto raggomitolato su sé stesso, si potè a stento distendere sul tavolato. Il viso contratto, come in uno spasimo supremo, rivelava la lotta atroce da lui sostenuta negli ultimi terribili momenti dell'agonia. - E' lui, è Adriano! Adriano mio, fratello mio! - gridarono ad un tempo le due donne precipitandosi verso la coperta dell'Iride; e desiderando esse di vedere se su le mutande fossero le due iniziali A. B., un marinaio con un temperino aprì al cadavere la maglia alla cintola e su le mutande di lana bianca si videro in rosso quelle due iniziali. Un nuovo e più acuto grido eruppe dai petti delle due donne che chiamarono coi più dolci nomi il povero naufrago, inviandogli baci e salutandolo a nome de' suoi miseri orfanelli; disfatte dal dolore, caddero poi in deliquio. Tutti alla scena straziante tacevano, stretti alla gola da un nodo di pianto; e su molte ciglia spuntavano le lacrime.

Il terzo cadavere era pure avvolto nel vestito di tela cerata; un corpo di adolescente, col viso scoperto e bianco, senza nessuna contrazione, come quello di un dormente. Raffaele Mancurti lo riconobbe subito per suo figlio Gino; lo baciò in fronte, trattenendo a stento un singhiozzo e poi, quasi a fuggire la macabra visione, salì di corsa col volto pallido sul pontone per confermare fra le lacrime al pretore come quel ragazzo fosse suo figlio.

I tre cadaveri, collocati l'uno presso all'altro, furono coperti con un lembo della vela rossa e gialla, che li condusse alla morte; e il giorno appresso furono posti nella Camera mortuaria dell'Ospedale in attesa dei funerali, stabiliti per le ore 17 dell'11. E queste estreme onoranze, che Ancona tributò alle povere vittime, riuscirono veramente imponenti; vi parteciparono tutte le autorità e una moltitudine di rappresentanze e società con una settantina di bandiere. In piazza delle Muse parlarono il Capitano di Porto Cav. Moretti, il Sindaco di Ancona e l'Avv. Ripari. Ancona volle così rinsaldare i vincoli di solidarietà e di affetto che la stringono alle città sorelle della regione ed in ispecie alla nostra Fano, dimostrandosi non solo ammirevole nello slancio di carità, ma nella pietà sublime.

Alle tre salme fu aggiunta la quarta di Romolo Bontempi, ripescato pochi giorni addietro a circa quattro miglia dalla costa da due barche pescherecce, nello stesso luogo ove era affondata l'Iride; lo stato del cadavere era spaventoso, e soltanto i capelli ricciuti e nerissimi ne permisero l'identificazione.

Il 12 marzo alle ore 16 giunsero a Fano le quattro lagrimate salme dei suoi figli così miseramente perduti. Immenso, imponente, ordinatissimo fu anche questo corteo, cui presero parte, insieme alle varie rappresentanze municipali, più di quaranta associazioni con le loro multicolori bandiere e con settantatrè magnifiche corone; d'intorno in una gloria di sole, nel bel pomeriggio, una ressa di popolo che sempre più aumentava, visibilmente dimostrando la propria immensa commozione; una scena indimenticabile di vero e sentito dolore di una intera città in lutto. Al Cimitero dissero belle parole il Sindaco di Fano, il Capitano di Porto ed il Sindaco di Pesaro.

L'unanime commiserazione dia ora le ali al soccorso pronto ed efficace e tutti si adoperino come più possono a lenire l'immane sciagura.

 

 

 

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