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Caduti

del mare

 

 

Cristina MOSCA

Morire di mare

su

 

29 marzo 2010

 

pagg. 2 - 3

 

 

Servizio vincitore del

Premio Giornalistico

"Guido Polidoro"

2010

Sezione "Carta Stampata"

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

«La maggior parte degli incidenti causati da imperizia»

 

 

 

 

Porto che vai,

storia che trovi.

La grande famiglia marinara

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I CADUTI DEL MARE

 

 

 

Monumento ai Caduti del Mare Pescara

Non c'è nulla di più libero e più romantico di un marinaio, dice Corto Maltese attraverso il tratto di Hugo Pratt. Non c’è nulla di più intenso della salsedine che insieme al grasso dei motori si cementifica tra le rughe della pelle bruciata dal sole e rende inconfondibile l’odore di un pescatore. Un odore che racconta la vita di un’intera costa, che dal mare riceve la vita, il lavoro, l’amore; a volte anche la morte. Sì, perché di mare si può anche morire. Sono oltre 50 i pescatori d’Abruzzo che negli ultimi 70 anni sono scomparsi mentre davano di che vivere alle loro famiglie: il più anziano aveva 72 anni, il più giovane appena 19. Secondo le informazioni ottenute incrociando i dati degli archivi dei sinistri della direzione marittima di Pescara, i racconti dei vecchi «lupi» interpellati sulle banchine, le ricerche su internet e i nomi ricordati sulle lapidi nei porti abruzzesi, le cause più comuni di morte, quando non ci si mette la burrasca, sono errori umani o malori durante le operazioni di pesca. Fino a venti anni fa, ad esempio, era tipico restare impigliati nei calamenti e venire trascinati a mare. Ai vivi non resta altro che dedurre la dinamica dell’incidente, visto che quasi sempre ne è il mare l’unico testimone. È il caso di Carmine, il primo pescatore che si ricordi scomparso in acque giuliesi, di cui nessuno conosce il cognome perché la comunità del mare funziona per soprannomi e non per anagrafe: il suo era «lu silvarol», infatti era di Silvi. Nel 1942 la sua piccola barca tornò in porto senza di lui, con la rete tirata in coperta e i granchi ancora vivi. Per una manovra sbagliata a bordo durante normali funzioni di pesca o di controllo sono morti cadendo in mare anche Carmine Vianale, Adriano Zizzi ed Emidio Speziale di Pescara; Mario Granato e Umberto Marà di Giulianova; Aldo Mazzone, di Silvi; Franco Maggitti, di Tortoreto; Mario Vastano, di Pescara; gli ortonesi Marco Giardinelli e Christian Boccardo, rovesciati al largo di Punta Cavalluccio durante la pesca a strascico nel 1997. Ernano Capriotti, giuliese, nel 1980 ebbe probabilmente un incidente con i rampini dei “rapidi” usati per la pesca delle sogliole e il suo corpo fu ritrovato quattro giorni dopo la sua barca, vuota.

C’è chi poi è stato tradito dalla burrasca, come Raffaele Nazionale, di Cologna, che dopo il naufragio della «Rosa Di Anzio» e dopo aver salvato il figlio Orlando morì nel trasporto in ospedale, lasciando la moglie incinta dell’ottavo figlio; o come Umberto Palestini, di Giulianova, sorpreso dalla tempesta insieme ad altri 11 uomini su un motopeschereccio di San Benedetto su cui era di «passaggio»; o Gabriele Paolini di Ortona, Pietro Pierluigi, Salvatore Calise e Luigi Marini di Martinsicuro, inabissatisi cercando riparo dal maltempo. Domenico Di Rocco di Silvi, Franco Di Rocco di Pescara, e Nicola Cipollone, molisano ma residente a Pescara, affondarono con i motopesca «Disco volante» e «Miranda»: quest’ultimo riposa sul fondo dell’Adriatico a quasi 4 miglia a nord del porto di Pescara. Sono stati sbalzati fuori dalle loro barche persino marinai esperti come Donato Cartone di Giulianova; Romano Ferrari e Bruno Sciarra di Pescara; Antonio Serafini e Renato Di Tollo ad Ortona.

Ci sono poi incidenti imprevedibili, come quello dei sette pescatori che furono uccisi nel 1948 da una mina vagante tirata su con le reti dai loro due natanti durante la «pesca volante»: Giustino Barberi, Giovanni Mazza, Antonio e Domenico Padovani, Orazio Palestini, Mario Renzetti e Guido Romano, tutti di Pescara. O come l’affondamento del «Rita Evelin», nel 2006, la cui rete probabilmente si incagliò sul fondale: fra i membri dell’equipaggio c’era anche Luigi Lucchetti, di Martinsicuro.

Ci sono infine figli d’Abruzzo salpati per altri mari e da altri mari inghiottiti. Sono i casi di Mario Costantini, pescarese ma accasato a Giulianova, che salpò con la Genepesca e cadde nell’Atlantico; e dei giuliesi Umberto Fortunato e Giancarlo Cirilli, il primo colto da un malore a Livorno nel risolvere un guasto all’elica, il secondo intrappolato nella sala macchine di un motopeschereccio ribaltatosi per eccesso di carico in Liguria.

Si pensa che il «Martinsicuro II» sia naufragato in acque sarde perché speronato da un altro mercantile, uccidendo Domenico Di Felice e Bruno Ferretti di Martinsicuro insieme a due marchigiani. E si pensa anche che un grosso peschereccio abbia trascinato a fondo, impigliandosi nelle sue reti, il «Freccia nera» che pescava al largo di Giulianova, determinando la morte dei giuliesi Lorenzo e Giorgio Serafini, padre e figlio; e che una grande nave abbia speronato e affondato l’«Angelo padre» di Cologna, trascinando con sé i giuliesi Gabriele Marchetti e Nicola e Giuseppe Gualà, padre e figlio anche loro. Supposizioni, perché un colpevole non è stato mai individuato. Di cause sconosciute parlano i registri di Pescara per la sparizione dell’«Ida Elisabetta» di Vasto, con a bordo Domenico D’Adamo, e per il battello che rovesciandosi al largo di Roseto portò con sé Gabriele De Luca e Dino Balduini, del Teramano.

 

 

La legge sulla sicurezza sul lavoro obbliga i muratori a indossare il casco e le imbracature ma non obbliga i pescatori a indossare i giubbotti di salvataggio. Solo a tenerli in barca. Devono essere perciò le centinaia di marinai abruzzesi che ogni giorno vanno a lavorare a farsi garanti della propria sicurezza. «Il 90% degli incidenti mortali che avvengono in mare – spiega il comandante Pietro Verna della direzione marittima di Pescara – è riconducibile ad errori umani. Paradossalmente è la troppa esperienza ad indurre a qualche negligenza, eppure è buona prassi indossare i giubbotti di salvataggio almeno mentre si salpa e si attracca, o quando c’è maltempo. Senza il giubbotto, ad esempio, è molto più difficile venire avvistati in acqua dagli ATR che sorvolano sì lo specchio d’acqua a 500 metri, ma pur sempre ad una velocità di ricerca di 250 Km/h; inoltre, se si sviene, si resta a galla».

Un errore comune è sfidare la stanchezza e le intemperie per troppa competitività, per arrivare dove gli altri pescatori non arrivano, quando invece la settimana lavorativa del marittimo non deve superare le 72 ore. » sempre valido il monito delle nonne di fronte al rischio di congestione: si dice che fu questa, ad esempio, la causa della morte del pescarese Libero Ferraccione, tuffatosi in acque rosetane per recuperare una barca. Sono state spiegate con infortuni o malori anche le scomparse di Mario Orsini, di Pescara, caduto nel porto canale durante i festeggiamenti di Sant’Andrea; Antonio Santini, comandante del motopesca «Silvio Andrea» a Vasto; Remo Lattanzio, di Silvi, caduto in acqua mentre il «Maria Cristina» affondava durante il rientro dalla pesca delle vongole; Luciano Ortolano, annegato dopo il rovesciamento della sua barca a Vasto. Nessuno di loro inoltre indossava il giubbotto.

«Il soccorso in mare – conclude il comandante in seconda Donato De Carolis – è sempre una questione di tempismo. La prima a venire chiamata è la capitaneria, ma i primi tenuti a raccogliere l’SOS sono i natanti più vicini. Per fortuna l’avanzamento tecnologico dei soli ultimi dieci anni permette di monitorare ogni movimento nelle acque territoriali, tuttavia non sempre si fa in tempo a chiedere aiuto. Consigliamo di indicare a chi resta a terra la propria meta e l’orario previsto per il rientro: si evitano anche molti falsi allarmi».

 

 

Ad ogni porto corrisponde una grande famiglia, quella dei pescatori. Ogni banchina conserva una tradizione costruita da codici, gesti, abitudini, discordie e affetti; per ogni uomo che viene a mancare ci si fa un po’ più stretti intorno ai suoi cari. Ogni marineria ha anche i suoi depositari della memoria storica, come il pescatore-poeta Lucio Marà, a Giulianova, o il presidente del comitato della Festa di Sant’Andrea Gabriele Correntini, a Pescara. Intorno ad ogni marineria gravita inoltre una notevole produzione di libri, memoriali, volumi documentali.

L’Abruzzo rinnova con rispetto reverenziale il ricordo dei suoi figli rubati dal mare. Nella banchina del porto di Pescara, ad esempio, c’è un monumento ai marinai scomparsi in acque d’Abruzzo: fu il comitato pro caduti del mare ad erigerlo, nel luglio del 1977, dietro idea del suo presidente Gianni Papponetti, fratello di Enrico, marinaio colpito dal cavo del rimorchiatore che trainava il suo peschereccio incidentato. Il monumento, sulla cui cima svetta l’ancora della barca del padre dei due, Riccardo, sarà protagonista della Festa della Marina del prossimo 10 giugno. A Roseto l’imboccatura del pontile presenta un bellissimo monumento in ricordo ai caduti in mare realizzato nel 1988 da Daniele Guerrieri, raffigurante un naufragio. A Giulianova, la statua di una donna china in lacrime sul corpo di un pescatore, realizzata dallo scultore Alfonso Tentarelli nel 1983, si trova nella zona nord del lungomare monumentale; all’imboccatura del porto tre lapidi ricordano otto giuliesi scomparsi, e una installata nel 1957 ricorda tutti i caduti in Adriatico. Vasto ricorda i suoi pescatori con una processione in mare che per tradizione si svolge a Ferragosto ma che da qualche anno è anticipata al 6 giugno, per la festa di Santa Maria Stella Maris; del 15 agosto è invece la cerimonia che si tiene a Roseto per la festa patronale di Ss. Maria Assunta, mentre a Pescara è per Sant’Andrea, patrono dei pescatori, che centinaia di pescherecci escono in mare per ricordare i caduti. Ad Ortona una lapide all’imboccatura del porto commerciale ricorda tre marinai scomparsi negli anni ’90, mentre a Giulianova ad agosto la processione a mare per la Madonna del Portosalvo prevede che venga gettata tra le onde una corona d’alloro.

 

 

 

Nome

nascita

morte

Carmine (Carminuccio lu Silvarol)

 

1942

Orsini Mario

1907

1947

Barberi Giustino

1888

1948

Mazza Giovanni

1923

1948

Padovani Antonio

1923

1948

Padovani Domenico

1898

1948

Palestini Orazio

1909

1948

Renzetti Mario

1912

1948

Romano Guido

1931

1948

Costantini Mario

 

1948

Nazionale Raffaele

1906

1951

Vianale Carmine

1907

1956

Cartone Donato

1900

1957

Cirilli Giancarlo

 

1957

Palestini Umberto

 

1957

Ferraccione Libero

1921

1958

Granato Mario

 

1959

Marà Umberto

1938

1962

Zizzi Adriano

1944

1964

Pierluigi Pietro

 

1964

Mazzone Aldo

1909

1966

Fortunato Umberto

 

1970

Papponetti Enrico

1936

1971

Di Felice Domenico

 

1973

Ferretti Bruno

 

1973

Sciarra Bruno

1922

1974

D’Adamo Domenico

 

1974

De Luca Gabriele

1953

1977

Balduini Dino

1953

1977

Capriotti Ernano

1919

1980

Gualà Nicola

1933

1982

Gualà Giuseppe

1963

1982

Marchetti Gabriele

1938

1982

Di Rocco Domenico

1935

1983

Di Rocco Franco

1958

1983

Cipollone Nicola

1951

1983

Ferrari Romano

1959

1987

Maggitti Franco

 

1988

Vastano Mario

1928

1989

Paolini Gabriele

1932

1991

Serafini Lorenzo

1924

1995

Serafini Giorgio

1953

1995

Santini Antonio

 

1995

Giardinelli Marco

1966

1997

Boccardo Christian

1975

1997

Speziale Emidio

 

1998

Serafini Antonio

1940

1999

Di Tollo Renato

1960

1999

Ortolano Luciano

1962

2000

Calise Salvatore

1955

2006

Marini Luigi

1944

2006

Lattanzio Remo

1935

2006

Lucchetti Luigi

1946

2006

 

 

 

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